“Perseverate nell’amore alla verità, a Dio che è la Verità medesima, a tutte le virtù e così potrete
espletare il vostro esercizio professionale, come una missione.” (San Giuseppe Moscati, medico)
”La tua professione non è ciò che ti fa portare a casa la tua paga. La tua professione è ciò che
sei stato messo al mondo a svolgere con tale passione e intensità che diventa spirituale nella
sua chiamata”(V. Van Gogh)
La Mission………
Namastè,
Le due illustri ed illuminate “personalità” sopra citate avevano perfettamente
integrato la professione alla vocazione personale, intesa come “chiamata” a porre
in essere la propria Missione animica a beneficio del collettivo. Nel mio piccolo,
pure io ho sempre sentito una forte spinta a svolgere la professione medica come
se non potessi (o dovessi) fare altro: non mi immaginavo diversamente.
Soprattutto negli ultimi vent’anni la società e molto cambiata, l’utenza è cambiata
con essa e la Medicina e la professione medica ne hanno subìto le conseguenze.
L’ambiente lavorativo, da sempre competitivo, lo è diventato ancora di più col
risultato di alimentare una costante e sottile tensione interpersonale anzichè un
clima di coesione e collaborazione sincere e numerosi sono gli ostacoli che si
incontrano, se si vuole manifestare un atteggiamento coerente con i propri
princìpi. Nonostante la dedizione, l’impegno ed il senso di responsabilità e del
dovere che guidano la condotta, quali presupposti imprescindibili per svolgere al
meglio una professione “di servizio” come quella del Medico, i titoli accademici e
professionali conseguiti nel tempo e i talenti sviluppati in tanti anni di lavoro, mi
sono presto resa conto di essere entrata in un sistema per cui non si è mai
“abbastanza” e non si dà mai “abbastanza”. Nel mio caso specifico ho dovuto anche
riconoscere che non c’è mai stato realmente spazio o avanzamento professionale
significativo, nonostante la mia disponibilità e voglia sincera di contribuire al
conseguimento degli obiettivi lavorativi comuni.
Con un senso spirituale fortissimo e tanti talenti sono arrivata alla conclusione di
avere sempre lavorato molto per ottenere….. poco da un punto di vista
professionale: in poche parole non crescevo, continuavo a “segnare il passo”. Il
sogno giovanile (legittimo, aggiungo) della piena realizzazione professionale per
merito si era infranto; il velo di Maya era caduto portandomi in uno stato di
profonda delusione e disillusione verso un mondo che non sa riconoscere ciò che
ha. Da quel “vuoto” interiore però, lentamente, è emersa una profonda
compassione per il mio vissuto. Man mano che proseguivo il lavoro su di mè con lo
Yoga e la Meditazione, ho con fatica e progressivamente ridimensionato e
riequilibrato l’investimento energetico psico-fisico ed emotivo nei confronti
dell’attività professionale pur continuando a svolgerla nel miglior modo consentito
da una rinnovata autostima: avevo imparato ad ascoltarmi e a compiere scelte più
in sintonia con quanto profondamente sentivo, senza il calcolo mentale. Tutto
questo, come si può intuire, non è stato privo di conseguenze ma…… oramai altri
valori richiamavano fortemente la mia attenzione.
Il lungo processo interiore che mi ha portata a riscoprire il mio valore intrinseco
che non dipende dal consenso altrui e dal “dover fare”, bensì dal coraggio di
“essere” è culminato due anni fa quando ho sentito il desiderio (quasi una
necessità) di condividere con gli altri gli insegnamenti dello Yoga grazie ai quali
avevo sperimentato sostanziali cambiamenti interiori (e di conseguenza esteriori),
accettando la sfida di mettermi in discussione a 360°.
In verità, io avevo frequentato un corso di formazione insegnanti di Yoga solo per
sistematizzare ed organizzare lo studio di questa immensa disciplina per puro
piacere personale e non certo per insegnarla! Anzi, la sola idea di parlare in
pubblico, in generale, mi aveva sempre creato ansia e preoccupazione di non
esserne all’altezza! Con un certo stupore, ho progressivamente capito che tutto il
percorso professionale mi era servito per arrivare fino a lì ed avviare il mio
processo di guarigione interiore mentre mi adoperavo da un punto di vista
lavorativo per gli altri, fuori di me. Una volta consapevolizzata questa funzione del
mio lavoro, per cui aveva assunto un significato del tutto nuovo per me, ho capito
che potevo essere più utile agli altri in modo diverso da quello che ci si aspetta da
un sanitario: volevo “prendermi cura di chi cura”. L’intenzione era (ed è) di
condividere un percorso che potesse aiutare le persone a riprendersi in mano la
propria vita, come era successo a me, pur continuando a rimanere lì dove la Vita
mi aveva messa perché, come ha affermato Yogi Bhajan, il Maestro del Kundalini
Yoga:
“E’ tempo di diventare maestri di noi stessi,
di dare a noi stessi una direzione,
di padroneggiare la nostra vita.
Illumina quell’angolo dove nessuno ha il coraggio di entrare”.
Coloro che curano (gli altri) sono tutte le persone che hanno scelto di lavorare,
come me, in un ospedale a qualsiasi titolo.
La mia vera “Mission” si era finalmente palesata, chiara ed inequivocabile…..
Grazie di esserci e…….. che tutto in te sia Gioia!

Shanti.
Ma Prem Daya